Dostoevskij ti legge dentro, ma non solo, è un mistico, un profeta.

Un grande precursore dei tempi e un fine conoscitore dei meandri della mente umana.

Mai come oggi, rileggendo i “Fratelli Karamazov” ho trovato il presente in un libro scritto nel 1879.

Questo dimostra che l’umanità non abbia imparato dagli errori del passato, e rispetto a centocinquanta anni fa, non si sia evoluta per nulla.

Il picco narrativo massimo del romanzo, si raggiunge con la parte “Il grande inquisitore”, in cui Ivàn Karazov narra alcune sue visioni.

“Tu hai promesso loro il pane celeste ma, lo ribadisco: può esso competere, agli occhi dell’eternamente viziosa ed eternamente indegna razza umana, con quello terreno? E se a migliaia e decine di migliaia ti seguiranno in nome del pane celeste, che avverrà dei milioni e dei miliardi di esseri che non troveranno la forza di disdegnare il pane terreno per quello celeste? (Ivàn/Il grande inquisitore: cap. V, 1994, p. 353)

 

Oggi gli intellettuali sono visti con disprezzo ed apostrofati con epiteti tipo “professoroni”, chi tenta di elevarsi viene disprezzato. Contano i selfie, i programmi alla televisione e i post su Facebook, se sono sgrammaticati pazienza. “Io parlo come  mangio”, “no kritike plis”. Chi promette alle masse “il pane celeste”, cioè propone dei principi  egualitari, progressisti, di accoglienza, viene bollato come “idealista e buonista”. Chi invece propone il “pane terreno”, scorciatoie, colpevolismo, arroganza, viene osannato e aimè votato.

“Dinanzi a chi inchinarsi”. Non vi è affanno più tormentoso e continuo per l’uomo, rimasto libero, che il ricercare al più presto qualcuno da venerare. (Ivàn/Il grande inquisitore: cap. V, 1994, p. 354)

Il “culto della personalità” non è finito, nulla abbiamo imparato dalla storia recente. Le persone vogliono una guida. Hanno paura della libertà e tendono a seguire un capobranco o un “capitano”, semplicemente perché fa la voce grossa.

Io ti dico che non vi è per l’uomo affanno più grande che quello di trovare al più presto qualcuno a cui rendere il dono della libertà che quell’infelice ha avuto nascendo. Ma si impossessa della libertà degli uomini solo chi pacifica la loro coscienza. (ivàn: cap. V, 1994, p. 354)

Non siete voi il problema! È colpa degli immigrati! Della terribile invasione africana, se l’economia va a rotoli. Gli italiani poverini, sono vittime dello straniero. Si anche chi scalda le sedie negli uffici pubblici. Anche chi timbra per dieci colleghi e va al mercato, anche chi truffa l’assicurazione, anche chi sta in malattia perché non ha voglia di lavorare. O che il lavoro non  lo cerca proprio, perché “lo stato ci deve aiutare!”

La nostra società ama il vittimismo e per ogni vittima occorre un carnefice.

Esclameranno infine che la verità non è in te, perché non si poteva lasciarli più in preda di ansie e di tormenti di quanto tu hai fatto, dando loro tanti affanni e problemi insolubili. In tal modo fosti tu a porre le basi per la rovina del tuo regno e non attribuire quindi la colpa più a nessuno. (Ivàn/Il grande inquisitore: cap. V, 1994, p. 355)

Chi dice che il reddito di cittadinanza non è fattibile, che dobbiamo restare in Europa, che ci vorranno dei sacrifici, è cattivo e non è vicino alla “gente”. Le persone vogliono che qualcuno continui a dire che va tutto bene anche di fronte all’evidenza.

E quando ci sarà da pagare, con lacrime e sangue. Perché verrà il giorno della resa dei conti. Si cercherà un nuovo colpevole. A meno di una poco probabile rivoluzione culturale. Di una presa di coscienza di massa che oggi mi sembra più utopica che mai.

Ivàn Karamazov nella sua visione mistica ci sperava.

Oh, noi li convinceremo che saranno liberi soltanto quando rinunceranno alla loro libertà in nostro favore e si assoggetteranno a noi. Ebbene, avremo ragione o mentiremo? Essi stessi si persuaderanno che abbiamo ragione perché rammenteranno a quale orrenda schiavitù e a quale orrendo turbamento li avesse condotti la tua libertà. La libertà, il libero pensiero e la scienza li condurranno in tali labirinti […] che alcuni di loro, indocili e violenti, so distruggeranno da sé, mentre altri, indocili ma deboli, si stermineranno fra loro, e gli ultimi rimasti, deboli e infelici, strisceranno ai nostri piedi e ci grideranno: “Sì, avevate ragione […] salvateci da noi stessi”. (Ivàn/Il grande inquisitore: cap. V, 1994, p. 360)

Io, con la mia proverbiale scarsa fiducia nel genere umano in generale, e negli italiani in particolare.

Non sono così ottimista.

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