Il primo libro “da adulti” che ho letto e di cui mi sono profondamente innamorata è Lessico familiare di Natalia Ginzburg, ormai lo cito a memoria e periodicamente lo rileggo.

È la storia della famiglia Levi, nella Torino del ventennio. Il papà Giuseppe Levi, professore di anatomia all’università, la mamma, Lidia si occupa della casa e dei cinque figli di cui Natalia è la minore. Vite e personaggi che ruotano attorno a questa dinamica familiare a tratti esilarante, anche se tocca argomenti seri come le leggi razziali e la guerra.

La Ginzburg ha una delicatezza narrativa fuori dal comune che mi ha portata ad innamorarmi pazzamente della lettura. Quando per caso a Torino passo in via Saluzzo, corso re Umberto o in una delle strade citate nel romanzo, la mia mente evoca sempre dei brani del libro. Nella semplicità del racconto fanno capolino personaggi che hanno fatto la storia : Felice Casorati, Adriano Olivetti, Filippo Turati , Anna Kuliscioff; Giulio Einaudi, Felice Balbo, e Leone Ginzburg. Ed è proprio la loro presenza a elevare il libro, facendo riflettere il lettore su tematiche politiche, letterarie e culturali.

Visti i fatti di cronaca recente, non sarebbe male che più persone possibile leggessero questo romanzo. Dove con una semplice storia si spiega cosa vuol dire perdere la libertà personale. Finire al confino in uno sperduto paese , lontani dalla famiglia, privati del lavoro e della dignità, semplicemente perché le tue idee non sono conformi a quelle imposte da una maggioranza fittizia.

Capire cosa significa finire in carcere, morire sotto tortura, perché hai stampato un libro o distribuito un volantino. Oggi che il concetto di dissidenza consiste nel fare polemica con una tastiera, nascosti da una foto profilo anonima, per rabbia e mal contento, ma senza più idee.

Gli alti ideali espressi nel romanzo ormai sembrano l’eco di un mondo lontano. L’entusiasmo del dopo-guerra, quando reduci da vent’anni di omologazione tutti si sentivano poeti e scrittori e spedivano alle edizioni Einaudi opere discutibili ma commoventi. Si è esaurito dopo settant’ anni.

Con rammarico leggo e sento di persone che inneggiano alla restaurazione di un passato di cui nella maggior parte dei casi ignorano la storia. Già solo il mero pensiero di riportare a galla qualcosa di così remoto e vecchio è un sintomo di carenza di idee nuove. O di idee in generale.

Lessico famigliare per me è un frammento di ricordi, il modo di vivere dell’epoca è lontano anni luce dal nostro modo di vivere moderno. Ma rileggendolo la nostalgia di persone con degli ideali diventa quasi angosciante, nel momento di povertà morale che stiamo vivendo.

Dovremmo tutti riprendere a leggere racconti di questo tipo per trarre dagli esempi passati nuove idee  per un futuro migliore.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *