Autore: Luciano Canfora

Editore: Laterza

Genere: saggio

Pagine: 86

In breve:

“«Qui vorremmo ripercorrere brevemente il cammino che ha condotto una formazione politica (quella educata nel Pci), per progressive trasfigurazioni, a farsi alfiere di valori antitetici rispetto a quelli su cui era sorta.»

A cento anni dalla nascita del Pci, Canfora si interroga sulla metamorfosi progressiva di quel grande partito. Una metamorfosi che ha al centro il ‘partito nuovo’ di Togliatti. Quella fu, nel 1944, una seconda fondazione. Fu la non facile nascita di un altro e diverso partito: diverso rispetto alla formazione ‘rivoluzionaria’ sorta vent’anni prima. La nuova nascita era una necessità storica, nella situazione mondiale del tutto nuova determinata dalla sconfitta dei fascismi. Ma le potenzialità insite in tale nuovo inizio non furono sviluppate con la necessaria audacia da chi venne dopo: Berlinguer incluso. Riannodando i fili di questa storia, Canfora cerca le ragioni del mancato riconoscimento dell’approdo socialdemocratico che il mutato contesto storico determinava. Una timidezza che ha contribuito alla successiva debolezza progettuale e ‘svogliatezza’ pratica. E alla progressiva perdita di contatto con i gruppi sociali il cui consenso veniva dato ottimisticamente per scontato.

Recensione:

In questo saggio l’autore più che i fatti ci spiega i motivi per cui, sostanzialmente, il Partito Comunista Italiano sia passato da grande realtà politica a nicchia depersonalizzata. Fin dalle prime pagine appare, infatti, chiaro e lapidario, un concetto: la sinistra ha archiviato il suo bagaglio e perso la propria identità, mentre le destre non si sono allontanate dalla loro sostanza ideologica, hanno solamente cambiato forma.

Il concetto di politica, per com’era concepito nella Prima Repubblica, non esiste più. Anche la parola “Partito” è stata sostituita da altre denominazioni come, ad esempio, “Movimento a cinque stelle”, “Forza Italia”, “Italia Viva”.

In questi cento anni la sinistra non ha saputo rinnovarsi, e l’idea d’internazionalismo si è riparata dietro un vago europeismo.

Tra le pagine ho trovato amarezza, nella narrazione della storia di una filosofia che avrebbe potuto cambiare il mondo, ma che non ha saputo trovare la via giusta: “Perché le classi possidenti hanno vinto la battaglia e forse la guerra nelle lotte tra classi”, mentre la sinistra si è persa in una “Prolissa tortuosità”, senza riuscire ad arrivare all’età moderna.

Per chi ha vissuto Il Partito, leggendo questo libro proverà disincanto e un po’ di nostalgia, in quello che è non solo un lucido ritratto del passato e del presente, ma anche una lungimirante finestra sul futuro.

Da leggere.

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