Questa mattina andando al lavoro in auto, osservavo come la “Fase due” abbia scatenato orde di maratoneti improvvisati che barcollano per la strada muniti di scarpe da ginnastica vintage, che non vedevano la luce dai tempi dell’ora di educazione fisica alle superiori. Seguiti da innumerevoli ciclisti che sfrecciano pedalando come forsennati manco fossimo al “Giro d’Italia”, smaniosi di recuperare la forzata inattività.
Quando ecco che da uno dei pullman di linea, che da Torino arriva fino al paese di campagna in cui lavoro, scende una ragazza che vedo molto spesso. O meglio, che vedevo tutti i giorni, insieme ad un gruppo di altre sventurate come lei, affollare i bordi della strada provinciale. Giovani prostitute africane, giunte fin qua con chissà quali promesse, o minacce, e che ora vivono un inferno. Fino a poco tempo fa passavano le loro giornate sedute su sedie di plastica, protette da ombrelli colorati in estate e fuochi improvvisati in inverno, in attesa che qualcuno le caricasse in auto per consumare un rapporto sessuale a pagamento.
Con il lockdown non le avevo più viste, e mi era capitato di pensare a cosa facessero chiuse negli appartamenti di Torino alla mercé dei protettori, dato che l’emergenza Coronavirus aveva fermato anche le attività illecite, almeno in apparenza.
Da ieri però è iniziata la “Fase due” e quindi questa ragazza, correttamente munita di mascherina chirurgica, ha ripreso il suo posto sulla strada. Del gruppo è la più giovane e la più bella e quindi ho pensato che l’avessero mandata in avanscoperta, per capire se si riesca a “lavorare”.
Una legge fondamentale del mercato è che se c’è offerta è perché c’è domanda. Quindi credo che oggi qualche uomo si sia premurato di usufruire nuovamente del servizio. Credendo, magari, che la ragazza in questione, dopo una lunga e assidua frequentazione, fosse diventata una congiunta.